Sezione 5

XXV

È venuto poi a galla una sorta di igienismo digitale – l’idea che i device possano essere usati per ridurre al minimo l’esposizione dei corpi al pericolo della contaminazione, di qualsiasi contaminazione. Evidentemente il Game portava nel ventre anche questa utopia fobica e al tempo visionaria. Una sorta di luminoso oscurantismo, che sembrerebbe ipotizzare una pulizia preesistente al contatto, un Io che si sporca nel fondersi ad altro, ma che a tutto può fondersi se disposto a calarsi nelle scafandro, agilissimo, dei device digitali. Non è possibile sbagliarsi: non era questa la corrente maggiore del Game, che aveva piuttosto come idea di esperienza proprio la rotazione continua di esperienza fisica e esperienza digitale in un unico sistema di realtà. Ma ora, nella figura mitica della Pandemia, leggiamo che la tentazione di semplificare quella rotazione e ritrarsi nel digitale puro è frequente, e già srotola mondi davanti a sé. La rimozione dei corpi che porta con sé è velenosa. D’altronde, in tutta la figura mitica della Pandemia prende forma un urlo pedante, che va anche al di là dei fanatismi digitali: tutto in quella figura urla che ci tocchiamo troppo, che stiamo fisicamente troppo allo scoperto, che mescoliamo in maniera orrenda miasmi liquidi particelle, che siamo sporchi. Quando invece bisognerebbe coltivare l’arte delle distanze, riportare gli scambi a nuclei circoscritti e ben rodati, continuare a lavarsi le mani come Lady Macbeth. Un immane bisogno collettivo di pulizia, forse di espiazione. Una spaventosa ondata di puritanesimo. Neanche venato di qualche inflessione moralistica o religiosa. Peggio: un semplice, amorale, istinto animale. Bestie impazzite.